Che il grande bardo abbia scritto pagine di drammi dall'amaro miele per l'intelletto, è più che riconosciuto. Uno di questi , da me preferito, (anche se, nel tempo, ritoccato da terzi) è sicuramente il Macbeth. Violentemente spietato e onirico, ferocemente critico verso l'arrivismo egoista e l'ingordigia del potere, eppure a tratti mostra pietà, per certi versi, nel descrive la rovina e l'oblio di un uomo e una donna che tradiscono l'amicizia del loro re, perché vollero diventare, con l'assassinio e l'inganno, re e regina a loro volta. Un dramma maledetto, tanto che il nome di Macbeth non va pronunciato nei teatri, pena: il fallimento e l'insucceso dell'opera che vi si rappresenta. "Il grande dramma scozzese", così viene nominato, sottovoce, nei corridoi dell'arte teatrale, è fondamentalmente un dramma anche al femminile dove una Eva medievale spinge al regicidio il proprio Adamo, porgendogli un'invitante, metaforica, mela , sotto forma di corona; una mela rossa, sporca del sangue del vecchio re Duncan. Tutto comincia con tre streghe, rappresentazione delle tre parche, che vaticinano l'ascesa verso il potere a Macbeth, tre come il numero perfetto. Polanski nella sua violenta trasposizione cinematografica, del 1971, ce le mostra, fedelmente, come Ecate, incarnazione del ciclo della vita e della morte: una giovane donna, una di mezza età, ed una vecchia. Tre donne che plasmano con un rito magico, il tragico destino di Macbeth, ma la vera artefice per spingerlo a compiersi, come già detto, sarà Lady Macbeth. Il senso di colpa per il rimorso del loro atto e la follia, però, s'impadroniranno ben presto dei due traditori, e il fato li ripagherà entrambi con quello che si meritano.
"Chiama. Veniamo subito! Il bello è brutto, e il brutto è bello. Planiamo attraverso la nebbia e l'aria impura..." "Quando c'incontreremo di nuovo, tutt'e tre, nel tuono, nel lampo o nella pioggia?..."
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